Sono uno scrittore di racconti di dominazione. I miei libri sono stati sempre letti e venduti con migliaia di copie in tutto il mondo, eppure sembrava un paradosso dato che erano semplicemente il risultato delle mie fantasie e non di esperienze reali.

Tutto questo fino a quando non ho avuto il blocco dello scrittore e non ho deciso di vivere sul serio un’esperienza di dominazione, cruda e spietata come la mia fantasia non aveva mai osato.

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Racconti di Dominazione: il mio primo incontro con una Mistress

Contattai una mistress esperta in dominazione, i cui anni alle spalle avevano affinato la sua supremazia e la bellezza non aveva subito alcuna scalfittura. Mi aveva colpito per i capelli lunghi e biondi, un fisico muscoloso seppur con forme sinuose e lo sguardo fermo, come se stesse per mangiarti vivo da un momento all’altro.

Chiacchierammo per diverse settimane e mi piacque molto la sua consapevolezza. Conosceva il suo potere, sapeva come esternarlo e come dominare un uomo fisicamente e psicologicamente.

La mia mente cominciava a fare spazio a questa Dea forte e potente e, giorno dopo giorno, sentivo il bisogno di piegarmi ai suoi piedini da leccare e lasciarmi in balia del suo volere.

Stavo raccogliendo tutte queste sensazioni e mi ero ripromesso di inserirle nei racconti di dominazione, quando sentì squillare il cellulare, era un suo messaggio con scritto semplicemente un orario e un indirizzo. Era il giorno che mi sarei dovuto presentare al suo cospetto.

Non nascondo di aver dormito poco e male la notte precedente; l’agitazione mi scuoteva e sentivo lo stomaco aprirsi in un varco nero che risucchiava tutto ciò che provavo. Era come se mente, cuore e corpo fossero uniti in un’ansia perpetua che solo una stilettata poteva frenare.

Ero già sveglio prima del suono della sveglia e ho continuato a comportarmi come un automa fino all’orario dell’appuntamento. Per un attimo ho pensato di doverle comprare dei fiori o altro (come avevo scritto in uno dei miei racconti di dominazione), come un fanciullo al suo primo appuntamento, ma per fortuna mi resi conto in tempo della figura patetica che avrei fatto.

Avrei portato in dono solo la mia sottomissione, pura e concreta

Mi trovavo davanti alla sua porta, in attesa del coraggio per premere quel piccolo pulsante che segnava la linea di confine tra il sogno e la realtà. Ero lì, con il dito sospeso in aria quando vidi aprire la porta.

Era lei sul ciglio della porta, mi guardava immobile come fossi trasparente e mi stesse leggendo dentro. In questo clima di impotenza, sapevo già come sarebbe andata a finire e non riuscì a muovere un piede per entrare nel suo dungeon.

Mi sentivo come un vampiro in attesa di essere invitato per poter entrare nella stanza della sua vittima; solo che il vampiro non ero io. Io ero la vittima e stavo per essere dissanguato.

La mistress mi invitò ad entrare, con un cenno che non ammetteva titubanza e mi indicò con il braccio dove dirigermi.

Le pareti erano rosse e decorate con molte sue foto artistiche. Questa fiera della vanità distolse i miei pensieri fino a quando non entrai nella stanza principale.

Vidi un letto circolare adornato di lenzuola nere, una fila di fruste e spank appesi al muro, catene e ganci appesi sul soffitto e un armadio aperto con diversi costumi a tema. Mi risultò tutto agghiacciante e davvero poco eccitante, come un mondo fatto di cliché a cui la mia fantasia aveva spesso pensato.

 

Possibile che la dominazione si riducesse al convenzionale, al banale, al classico?

La mistress lesse i miei dubbi, forse ero ancora trasparente, e mi chiese se stessi bene. Le risposi che non era ciò che mi ero immaginato, non volevo fare l’attore teatrale e ciò di cui avevo bisogno erano emozioni vere, ferite vere e dominazione vera.

Non potevo più scrivere di ovvietà nei miei racconti di dominazione, il mio blocco dello scrittore martellava nella mia scatola cranica e si faceva grasse risate della mia mediocrità.

Mi disse di inginocchiarmi e baciarle gli stivali per provarle che ero un sottomesso. Sembrava una trama di qualche mio racconto passato, talmente semplice da risultare ridicola.

Decisi però di fidarmi della mia mistress, sicuro di aver visto nella sua voce e nella sua personalità qualcosa di cui ancora non mi ero reso pienamente conto. Baciai con trasporto quel tessuto lucido così freddo, lasciando l’impronta delle mie labbra su di esso.

L’ordine si susseguì in modo quasi scontato e avevo già tirato fuori la lingua per ripulire tutto. Proseguì.

Mi spogliai con molta calma, imbarazzato e senza un’erezione. Pensavo che a quel punto tutti si eccitassero per quello spettacolo ma io sentivo solo una grande vergogna.

Dopo qualche minuto la mistress scostò lo stivale per puntarlo sulla mia schiena, sentivo il tacco premere con forza sulla mia pelle, provocandomi un dolore sottile ma piacevole.

Fece scivolare lungo tutta la lunghezza lo stivale, lasciando piccole scie rossastre. Non alzai mai lo sguardo da terra, non volevo che leggesse la mia delusione ma sentii i tacchi allontanarsi e fermarsi sulla parete di fruste. Oh no…

Tornò dopo pochi secondi, la sentì ridere mentre mi diceva di prepararmi alla sofferenza. Il vento sibilò all’alzarsi della frusta e la mia schiena si irrigidì spontaneamente, pronta a ricevere ciò che non desiderava. Poi il nulla.

Quello che successe dopo fu un fuori programma che non avevo preventivato. Pensavo mi avrebbe deriso, urlato e sbattuto fuori casa ma no. La vidi togliersi gli stivali in PVC alti fino alla coscia e uscire fuori da un corsetto di pelle che sfidava le leggi della fisica.

< Hai imparato la lezione, vero? > disse mentre si infilava un maglione molto largo e un paio di sneakers ai piedi.

< Ho letto i tuoi racconti di dominazione e sono rimasta alquanto delusa del modo superficiale in cui parli di questo mondo così complesso e nascosto. Sembra quasi che tu non abbia mai avuto una reale esperienza o che ti sia lasciato andare all’apparenza che all’essenza.

Mi sono comportata come i tuoi personaggi dei racconti di dominazione. In maniera vuota e senz’anima. Volevo farti capire che tutto quello che hai visto non esiste.

Questo dungeon, queste fruste e la stessa mistress che hai avuto davanti, tutto questo non esiste. Sottometto uomini che si credono slave e vogliono essere dominati ma la verità è che finisco col sottomettere me stessa al volere delle loro fantasie.

Certo, nella tua fantasia è tutto così estremo ed eccitante che solo provarlo di persona poteva farti capire quanto sia freddo e distante nella realtà. La vera dominazione è un’altra e tu sei pronto a conoscerla >.

Le sue parole mi avevano lasciato basito e ammutolito. Mi aveva annientato in quanto uomo, demolito in quanto schiavo e umiliato in quanto scrittore.

Era vero che i miei racconti di dominazione erano stati pubblicati e avevano avuto successo, ma in fondo avevo sempre saputo quanto fossero distanti dalla verità. Con un calcio mi lanciò i vestiti e mi diede 3 minuti di tempo per rivestirmi.

Voleva darmi una lezione…molto di più dei miei racconti di dominazione

Pensavo stesse scherzando ma cominciò col cronometrarmi e io dovetti sbrigarmi per non sforare il secondo. Non capivo cosa stesse succedendo, non capivo perché avesse giocato così con me, voleva darmi una lezione ma ce n’era forse bisogno?

Si fermò a un centimetro dal mio naso, prosciugando ogni cellula del mio corpo con il suo sguardo ardente. I miei racconti di dominazione erano carta straccia, materiale per la pattumiera, parole piene del nulla.

Le avevo specificatamente richiesto una vera dominazione e me ne aveva già dato prova. Aveva azzerato la mia lancetta contachilometri per rendermi pronto a compiere un percorso di sottomissione onesto.

Mi mise un piccolo collarino con scritto il mio nome. Saremmo usciti nel mondo reale e non dovevo confondermi tra le persone normali, avrei dovuto ricordare il mio posto e quel collarino ben mi catalogava come un cane inferiore.

Pregai che non mi mettesse anche un guinzaglio e per fortuna non lo fece, non ce n’era alcun bisogno in fondo. La seguivo già come un cagnolino mentre camminava sicura per le strade ed entrava all’interno di un bar.

Si sedette ad un tavolino e stavo quasi per sedermi quando mi schiaffeggiò una mano.

< Ti ho forse permesso di sederti al tavolo con me? > mi disse. Mi fece una rapida lista di ciò che voleva prendere e mi diressi alla cassa per fare l’ordine.

Quando ritornai lei era lì, bella come una statua greca, mentre guardava fuori dalla finestra, con lo sguardo fiero e la testa altezzosa. < Ecco ciò che ha ordinato, Padrona > dissi speranzoso e umile.

Non mi rispose e io mi sentii stupido e incapace. Nella vita reale avrei scostato la sedia e mi sarei seduto a parlarle. Ma cominciò ad accadere qualcosa di strano. Io non ero più Io o forse lo ero ma in una versione che non conoscevo.

Le mie certezze stavano pian piano crollando e non riuscivo a muovere un passo per paura di sbagliare. Necessitavo del consenso della Padrona.

Ero preso dai miei pensieri quando il cameriere portò l’ordine della Padrona. Lei cominciò a mangiare e io ero ancora in piedi, mi guardai intorno e vidi gli occhi delle persone che mi scrutavano, qualcuno rideva, altri si domandavano perché fossi in piedi.

Quello che sapevo era che non riuscivo a muovermi, ero completamente paralizzato dall’umiliazione. mi disse mentre beveva dalla sua tazza di caffè.
Disse proprio così. A cuccia.

Pendevo da ogni sua parola. Non avevo mai capito pienamente il concetto di possesso fino a quel momento. Ero suo in ogni fibra del mio corpo e solo lei poteva dirmi cosa dovevo fare e cosa pensare.

Mi allungò il piattino con gli avanzi e la tazzina con il sedimento del caffè. Capii che dovevo finire tutto come un cane.

< Ho voglia di un’altra cosa. Vai a prendere una tazza d’acqua bollente > mi disse.

Non immaginai a cosa potesse servire e mi vergognai per la mia fantasia spicciola. Fino a quel momento avevo sempre fatto vanto della mia creatività, ma era anche quella frutto del nulla. Non ero geniale, ero solo un perfetto imbecille.

Il barista pensò volessi un té e mi chiese quale gusto preferissi. Blaterai qualcosa, in maniera poco convinta e aspettai la mia tazza d’acqua bollente. Quando tornai al tavolo vidi che la Padrona era posizionata in modo diverso, dando le spalle alla sala, come se stesse ricercando un minimo di privacy.

Con la mano batté sul tavolo e mi disse di sedermi di fronte a lei. Vidi che aveva un pezzo di stoffa bianco tra le dita e cominciò a immergerlo nella tazza d’acqua. Erano le sue mutandine e quello che voleva fare era un decotto di suoi umori.

< Nei tuoi racconti di dominazione fantastichi spesso sul profumo delle mutandine delle donne. Come se un cane come te meritasse questo privilegio. Tu sei una nullità, non lo capisci? Puoi solo immaginare il mio profumo > disse mentre con la mano continuava a impregnare l’acqua delle sue mutandine.

Era capace di smontare ogni singolo pezzo della mia mente e farmi sentire come se non meritassi nulla di lei. Strizzò le mutandine e mi ordinò di bere tutto. Lo feci tutto d’un fiato, colpito dal retrogusto amarognolo che si dipanava nella mia bocca.

Immaginai il suo sapore e mi flagellai simbolicamente per aver pensato qualcosa di così volgare e immeritevole. Ero diventata una bestiolina modesta e non riuscivo più a immaginare nulla di sessuale nel rapporto di sottomissione.

Non potevo ambire a così tale pregio, dovevo accontentarmi delle briciole così come prima avevo mangiato gli avanzi della Padrona. Si alzò improvvisamente, lasciando le mutandine sul tavolo e ordinandomi di infilarmele in bocca.

Pagai il conto con la bocca piena e non riuscendo a spiccicare una parola. La cassiera mi guardava come se fossi un folle e aveva ragione. Scodinzolai verso la Padrona e la seguì in un tragitto sconosciuto, laddove gli incivili lanciavano la loro immondizia e rifiuti di ogni sorta.

Vidi la Padrona raccogliere qualcosa da terra e lanciarla. < Muoviti! Riportamela >. Partì alla rincorsa, come un cane da riporto, cercando qualcosa che non avevo nemmeno avuto il tempo di vedere.

Le riportai indietro mille oggetti, forse qualcuno di essi fu davvero l’oggetto che mi aveva lanciato, ma il responso fu sempre negativo. Questo lancinante gioco si protrasse per un tempo lunghissimo fino a quando non si annoiò e mi disse di riportarla a casa.

Mi misi a 4 zampe e accolsi il suo dolce peso lungo la mia schiena. Lungo il tragitto alcuni bambini ci guardavano divertiti, convinti avessi perso una scommessa.

Tentavo di nascondere il volto, ma mi sentivo stranamente eccitato in quel contatto asettico e per nulla sensuale. Avevo sempre immaginato le mistress come delle donne interessate alla sottomissione sessuale e me ne vergognavo.

In quella sottomissione c’era qualcosa di più puro e istintivo. Era la mia mente ad essere soggiogata e questo mi rendeva più vulnerabile e non in balia di stupidi e brevi impulsi sessuali.

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In conclusione

In appena due ore ero pronto a cancellare i miei racconti di dominazione passati, ero pronto a resettare tutto il lavoro di quegli anni perché finalmente avevo capito.

Arrivammo alla porta di casa sua, scese dal mio dorso e con un piede mi spinse verso il pavimento. Si pulì le scarpe sulla mia maglietta, come se fossi una sorta di zerbino umano.

Rimasi in quella posizione fino a quando non mi disse di entrare in casa. Quando alzai lo sguardo mi stupì di aver avuto gli occhi bassi per tutto quel tempo, non me ne resi conto fino a quel momento.

< Hai capito adesso cos’è la dominazione? Non ero vestita da mistress, né ti ho toccato con un dito. Non ti ho fatto male ma non ti ho nemmeno fatto godere. Ho giocato con te e ti ho fatto fare tutto ciò che la mia mente voleva >.

Assentì con il capo e mi resi conto che tutto ciò che avevo considerato dominazione fino a quel tempo era solo un pallido riflesso della realtà. Feci per togliermi il collare ma mi bloccò, dicendomi di tenerlo fino a quando mi sarei sentito suo.

Da allora sono passati 6 mesi e ho ultimato un nuovo libro di racconti di dominazione. Ho ancora quelle mutandine ereditate da quell’episodio; ancora adesso non ho il coraggio di annusarle. E mi stupisco nel toccare il collare che da allora è diventato parte di me.

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